Sotto il fascismo l’Italia ha vissuto uno dei momenti più bui della sua storia LGBT+ quando centinaia di persone in tutta Italia (quasi esclusivamente uomini) vennero arrestate, schedate dal ministero dell’Interno, e mandate al confine perché omosessuali.
‘Le stazioni della Via Dolorosa degli Arrusi’ è la storia degli ‘arrusi’. I quarantacinque uomini omosessuali catanesi arrestati e deportati nell’isola di San Domino delle Tremiti.
Erano le bimbe. Così venivano chiamati dai poliziotti che avevano il compito di controllare i prigionieri 24 ore su 24. Allontanati dalle proprie famiglie, dalla propria città, dagli amici e dal lavoro, solo per la loro sospetta omosessualità.
Senza elettricità, senza acqua, vivevano in dormitori fatiscenti, chiusi a chiave per tutta la notte.
— Dall’articolo ‘Quando le isole Tremiti erano il confino per omosessuali’’ di Alessandro Bovo
“A metà degli anni trenta l’arcipelago venne destinato esclusivamente ai confinati politici. Molti confinati comuni–delinquenti, mafiosi, e anche pederasti–vennero gradualmente trasferiti altrove, per quanto un certo numero ne rimanesse anche nel 1939. La popolazione dei detenuti diminuì fortemente. Da allora si tirò a campare, benché cominciassero ad affluire i politici, soprattutto (dal 1937) quelli che si erano mostrati indisciplinati nelle altre colonie. Soltanto nel 1939 il numero dei confinati tornò a crescere rapidamente: passarono da 264 a 444, e altri se ne aspettavano.”
“Guardano in alto, verso la fortezza, e cominciano a arrampicarsi per un camminamento stretto tra la scarpata e i bastioni. Finalmente arrivano in cima. Tra le mura e l’abbazia vera e propria c’è una spianata con quattro grandi cameroni a due piani opera dei Borbone, e qualche altro edificio analogo d’epoca fascista. Nei cameroni, oppure (come scriveva qualche anno prima un coatto, Jaurés Busoni) nei vari ripiani, in stanzoni, androni, recessi ed anfratti, anch’essi adattati alla meglio, dei resti della badia e del castello, vivono i residenti stabili e i confinati. Nella fortezza hanno sede la direzione e gli uffici della colonia, e la caserma delle guardie e dei carabinieri. Mancano invece, per fortuna, gli sgherri della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale.
Vengono sbrigate rapidamente le formalità. Il direttore spiega le regole del confino. Ne abbiamo una copia. I confinati devono tenere buona condotta e non dar luogo a sospetti. A ciascuno viene concesso un posto in camerone, da cui non si può traslocare senza permesso. Ogni mattina, quando i cameroni vengono aperti, i prigionieri sono tenuti a presentarsi vestiti e pronti… per rispondere all’appello nominale; c’è poi un secondo appello qualche ora dopo, a cui si aggiunge negli otto mesi più caldi un terzo appello pomeridiano. In ogni momento devono avere con sé un documento d’identificazione detto carta di permanenza.
Il controllo in apparenza è strettissimo. Non sorprende che sia vietato andare in barca per diporto, ma non è permesso neppure frequentare luoghi di pubblico intrattenimento, né locali di riunioni pubbliche o private; perfino nei negozi i confinati devono trattenersi lo stretto necessario; e nei cameroni stessi vige una sorta di coprifuoco.”
“— La città e l’isola: Omosessuali al confino nell’Italia fascista di Gianfranco Goretti, Tommaso Giartosio
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