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Otranto, porto d’amore

Ci sono diversi tipi d’amore, i Greci ne individuavano addirittura più di cinque: Eros (έρως), l’amore passionale, carnale e irrazionale; Philia (φιλία) l’amore per un amico, la profonda amicizia; Agape (αγάπη) un amore al di là delle forze umane, dei confini, delle dimensioni, è un amore puro e religioso; Storge (στοργή) l’amore nei confronti della famiglia o dei parenti; e Pragma (πρᾶγμα) un impegno, un dare amore senza dover per forza ricevere. Ma tra questi vi era sicuramente anche l’amore per la scoperta e la conoscenza, quella curiosità che animava Odisseo, la cupidigia che solo un viaggio spesso può soddisfare. Meleagro cantava l’amore dell’etera Ascelpiada in uno dei suoi epigrammi: Asclepiada, che ama l’amore, con gli occhi scintillanti come il mare tranquillo, persuade tutti a navigare nell’amore. Il mare tranquillo è come una donna che si concede all’amore e persuade alla navigazione, una navigazione che porterà tesori e baci delicati. Pertanto a volte l’amore stesso spinge alla navigazione. Si può ricordare la leggenda di Ero e Leandro: i due vivevano sulle opposte rive dell’Ellesponto, lui ad Abido sulla sponda asiatica, l’altra nella città di Sesto, nella Tracia europea. Un giorno ad Abido si celebrava la festa in onore di Afrodite. Anche Ero attraversava il mare per celebrare la dea dell’amore. Quando gli sguardi dei due giovani s’incrociarono, fu amore a prima vista, ma i genitori di lei tenevano la figlia sotto stretta custodia. Bisognava, dunque, incontrarsi di nascosto. Perciò Leandro attraversava a nuoto di notte l’Ellesponto. Ero accendeva una luce che brillava come un faro e mostrava il cammino a Leandro. Così i due giovani potevano incontrarsi e amarsi in segreto. Ma venne presto il tempo dei gelidi inverni e delle tempeste marine e una notte, il soffio impetuoso del vento spense la lampada che Ero teneva sempre accesa. Leandro, senza più riferimenti, morì annegato, invocando invano l’aiuto di Afrodite.

La fanciulla di Sesto era la Otranto di quei popoli che tentarono di raggiungerla, una fanciulla da ambire e conquistare anche a nuoto, a volte raggiungendola, a volte naufragando. Questa fu la sorte dei popoli che si susseguirono sulle rive della città di Otranto, affascinati dalla sua bellezza e dalla sua strategica posizione. L’insediamento più antico sorge nel punto più orientale della penisola italiana ed è munito di favorevoli approdi sul canale che collega l’Italia ai Balcani, percorso dalle rotte marittime che dall’Egeo raggiungevano i porti dell’Adriatico settentrionale. I riferimenti per la narrazione dell’età Neolitica nel territorio otrantino sono i siti di Grotta dei Cervi, Grotta del Mammino, Grotta Marisa e Grotta Sacara. Sulle pareti della Grotta dei Cervi si susseguono centinaia pittogrammi in ocra rossa che testimoniano scene di caccia, scene di socialità e altri segni che si possono definire grafemi simbolici a forma di S, spirali antropomorfe che raffigurano la collettività. Di queste figure si po' individuare il sesso: le donne sono identificate con un puntino nero che indica il pube e vengono rappresentate frontalmente, mentre gli uomini vengono rappresentati itifallici e di profilo. Centinaia, poi, le impronte di mani di adulti e bambini, legate probabilmente a riti iniziatici. La Grotta dei Cervi viene considerata un vero e proprio santuario della preistoria, luogo di incontro per le diverse comunità del Mediterraneo che qui forse trovarono l’opportunità di stringere patti e alleanze, chiamando come garante la Grande Madre. In una delle sale del castello di Otranto sono conservati alcune delle offerte propiziatorie, tra cui vasi rituali, che a volte rappresentano volti schematici della Dea Madre con significati magico-apotropaici, condivisi in tutto il Mediterraneo. L’insediamento si evolve nell’età del Ferro (IX-VIII sec. a.C.) quando le attestazioni, ora definibili messapiche, sembrano ancora concentrarsi sull’insenatura orientale.

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A seguito della guerra Tarantina, Taranto e quindi le genti messapiche alleate alla città spartana, caddero nelle mani di Roma. In epoca romana Otranto è conosciuta come Hydruntum, dal nome greco del torrente Hydrus nella cui vallata sorge la città. Altre fonti, però, riportano come nome latino Odruntum, termine sempre, tuttavia, legato alla parola acqua, precisamente al termine messapico "Odra", appunto acqua. Otranto presenta poche tracce romane, tra queste due lastre con incisione latina poste ai lati dell’ingresso di Palazzo Arcella, risalente al XVIII secolo. Si tratta di due basi di statue romane, ora utilizzate come parte dell’intelaiatura in pietra di una porta, due iscrizioni onorifiche agli imperatori Marco Aurelio e suo fratello adottivo Lucio Aurelio Vero. Subito dopo la morte di Antonino Pio nel marzo 161, il re di Partia invase il Regno d'Armenia. All'inizio del 162 d.C. fu deciso che Lucio avrebbe dovuto dirigere lui stesso le guerre dei Parti, con Marco Aurelio che soggiornava a Roma. Data l'importanza strategica del porto romano di Hydruntum, la porta dell'est, è molto probabile che Lucio e il suo esercito siano salpati da qui per la Siria. È altrettanto probabile che anche Marco Aurelio salpò da Hydruntum quando visitò le province orientali all'inizio degli anni '70. Ma poiché ciò avvenne dopo la morte di Lucius, è improbabile che le statue siano state erette allora. Più probabilmente furono erette in onore di Lucio quando partì per la guerra romano-partica dal 161 al 166 d.C. Dopo il declino della potenza romana, in Italia e nella cittadina hydruntina giunsero i bizantini. Sul finire del VI secolo, Otranto si trovava già sotto il dominio di Bisanzio. Fu proprio in tale periodo che il centro fu dotato di nuove e più salde fortificazioni, erette per proteggersi da eventuali attacchi barbarici. Nell'epoca della seconda dominazione bizantina, la città raggiunse il massimo splendore. Il suo prestigio crebbe vertiginosamente. In questa fase ci fu l'affermazione del rito greco. Si ricordi, a dimostrazione di ciò, la piccola chiesa di San Pietro, edificata nel X secolo nel centro storico del paese.

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Ma a testimoniare la grandezza di Otranto è sicuramente la cattedrale di Santa Maria Annunziata, una delle più grandi del territorio salentino. Viene realizzata nel XII secolo, su precedenti edifici messapici, romani e paleocristiani, poi consacrata nel 1088 dal Legato Pontificio Roffredo, sotto il papato di Urbano II. L’interno racconta tutte le ere e i popoli che si sono susseguiti nella città di Otranto, a partire dal suo pavimento. Infatti, I normanni, già alla metà del XI secolo, erano riusciti ad impossessarsi di una buona fetta della Puglia, ma Otranto, come anche Brindisi e Taranto, rimaneva nelle mani dei bizantini. Questo fino al 1064 quando, la città hydruntina fu costretta a rassegnarsi al nuovo dominio normanno. I nuovi "padroni" non stravolsero, però, la realtà preesistente, al contrario, cercarono di apportare delle modifiche in positivo, ridefinendo le strutture di difesa, come il castello e le mura. Il pavimento musivo della chiesa, realizzato tra il 1163 e il 1165, sotto il regno di Guglielmo il Malo, commissionato dall'Arcivescovo Gionata reca la firma del presbitero Pantaleone. È l'unico pavimento musivo di epoca normanna rimasto integro in Italia e mostra un gigantesco arbor vitae che costituisce una vera e propria summa medievale tradotta in immagini. Al suo interno si possono osservare figure allegoriche come l'Ascensione al cielo di Alessandro Magno o Re Artù, temi dell'Antico Testamento come la Torre di Babele, il Diluvio Universale, Salomone e la Regina di Saba, un calendario medievale, l'Inferno ed il Paradiso e una serie di figure appartenenti al folklore normanno. Pantaleone rappresenta il momento storico hydruntino di quegli anni dove convivono due religioni, quella cristiana e quella ebraica, e dove coabitano diverse culture; infatti, Otranto era sede di un'importante comunità ebraica che espresse raffinati poeti nel IX secolo. Nella seconda metà del XII secolo risiedevano in città 500 famiglie ebree sotto la guida di Meir, Mali, Menachem e Caleb.

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Interessante nel pieno centro storico è il Castello Aragonese. Inizialmente nella piazza si ergevano delle fortificazioni risalenti al periodo della dominazione sveva. Sarà con l’attacco turco del 1480,anno in cui tutto il Meridione d'Italia fu oggetto dell'attacco turco, che il Castello dovette essere ricostruito, cosa che fece Alfonso d'Aragona Duca di Calabria. Alla fine del secolo, quando la città fu data in pegno ai veneziani, la struttura fu ulteriormente potenziata con l'aggiunta di artiglierie e bombarde. Della fase aragonese rimangono solo un torrione e parte delle mura. La fortezza otrantina ispirò il primo romanzo gotico della storia, Il castello di Otranto, di Horace Walpole (1764) ed il libretto di un'opera buffa, Le Baron d'Otrante (1769) di Voltaire. Oggi costituisce il museo di Otranto, che conserva un patrimonio risalente al Neolitico e all’Età del ferro e occasionalmente organizza una serie di mostre artistiche o fotografiche e convegni.

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Durante XV secolo, le incursioni via mare erano molto frequenti e gli otrantini avevano molta paura. Infatti, spesso erano costretti a rifugiarsi nelle grotte dell'entroterra per scampare al pericolo. L'attacco saraceno del 1480 fu un duro colpo per Otranto e per i suoi abitanti. 18.000 ottomani, con una flotta di 150 navi, si mossero verso la cittadina salentina, ormai porto verso l’Oriente, pieno di commistioni culturali, con l'intenzione di saccheggiarla e conquistarla. Dopo un'estenuante resistenza da parte degli otrantini che non volevano arrendersi, i Turchi s'impossessarono del borgo, commettendo ogni sorta di crudeltà. 800 uomini coraggiosi, ora Santi, dopo aver rifiutato di convertirsi all'Islam, furono decapitati sul colle della Minerva. Si ritiene che quei martiri ora siano conservati nella Cattedrale all’interno di tre teche di vetro. I teschi di quei santi uomini sono rivolti verso lo spettatore, che realizza pienamente la sua caducità dinanzi ad una vista così macabra e gotica.

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La città portuale di Otranto continua ad affascinare per la bellezza dei popoli che si sono susseguiti nel corso della storia. Ognuno di loro ha lasciato un segno intangibile nella città, ognuno di loro ha tentato di conquistare il suo amore, ha attraversato il mare di Asclepiada, a volte ricevendo il suo amore, altre volte perdendo di vista il faro di Ero, naufragando nella sua bellezza e magnificenza.

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2 thoughts on “Otranto, porto d’amore”

  1. I enjoyed reading the history of this port town, particularly as it came into the Roman era since I recognize much of that more so than its pre-Roman times. The pictures of the church are beautiful. I’d like to visit to see it in person.

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