Itaca
Se ti metti in viaggio per Itaca
augurati che sia lunga la via,
piena di conoscenze e d'avventure.
Non temere Lestrigoni e Ciclopi
o Posidone incollerito:
nulla di questo troverai per via
se tieni alto il pensiero, se un'emozione
eletta ti tocca l'anima e il corpo.
Non incontrerai Lestrigoni e Ciclopi,
e neppure il feroce Poseidone,
se non li porti dentro, in cuore,
se non è il cuore a alzarteli davanti.
Augurati che sia lunga la via.
Che siano molte le mattine estive
in cui felice e con soddisfazione
entri in porti mai visti prima;
fa' scalo negli empori dei Fenici
e acquista belle mercanzie,
coralli e madreperle, ebani e ambre,
e ogni sorta d'aromi voluttuosi,
quanti più aromi voluttuosi puoi;
e va' in molte città d'Egitto,
a imparare, imparare dai sapienti.
Tienila sempre in mente, Itaca.
La tua meta è approdare là.
Ma non far fretta al tuo viaggio.
Meglio che duri molti anni;
e che ormai vecchio attracchi all'isola
ricco di ciò che guadagnasti per la via,
senza aspettarti da Itaca ricchezze.
Itaca ti ha donato il bel viaggio.
Non saresti partito senza lei.
Nulla di più ha da darti.
E se la trovi povera, Itaca non ti ha illuso.
Sei diventato così esperto e saggio,
e avrai capito che vuol dire Itaca.
Kavafis, poeta greco-alessandrino della prima metà del Novecento, canta il viaggio verso Itaca come emblema della vita, augurando al lettore che il viaggio sia lungo e pieno di tesori inesplorati e lontani o di creature mostruose e terribili. Augura all’eroe di perdersi come Odisseo e di distogliere l’attenzione dalla meta godendosi il viaggio, e lasciandosi governare dai flutti della sorte. Itaca assume quindi i connotati della saggezza, raggiungibile solo attraverso il dolore. Si tratta di un concetto greco che nasce con Eschilo pathei mathos (πάθει μάθος, soffrire per comprendere) infatti la sofferenza è l’unico strumento di cui l’uomo dispone per raggiungere la conoscenza.
E si può definire pieno di paurosa curiosità e di sofferenza il viaggio delle prime popolazioni che raggiunsero le sponde di questa terra che chiamiamo Puglia. Un atto di coraggio verso l'ignoto, un tuffo in un mare senza fondo.
Il mare greco ha molti nomi. Il più diffuso è Thalassa/Thalatta, che però non si è anora riusciti a ricondurre ad un’etimologia indoeuropea. Infatti Albin Lesky notava come la parola greca più comune per indicare il mare non è greca. Per tanto, si può immaginare che i greci nelle regioni del continente europeo, si siano dovuti far spiegare dagli indigeni delle rive dell’Egeo come si chiamava quella misteriosa e inquietante distesa salata. Prima di Giasone e della sua ricerca del vello d’oro, l’uomo non rischiava la sua vita sul mare e si teneva saldamente legato alla terra. Attraversare le onde è un gesto che segna la fine dell’innocenza primigenia del genere umano e il poeta imperiale Seneca vissuto sotto Nerone, quando l’impero romano si espandeva oltre i mari più estremi , scriveva “Troppo ardì chi per primo con nave così fragile ruppe i flutti malfidi, chi lasciando alle spalle la sua terra affidò la vita al capriccio dei venti, chi solcando il mare aperto con incerta rotta ebbe fiducia in un legno sottile, confine troppo fragile tra le vie della vita e della morte”.
E ancora più grandiosa deve apparire il viaggio dei primi uomini in mare, se si pensa che l’opinione comune diffusa nell’antichità era che il fiume Okeanos (Ὠκεανός), il mare, fosse anche sede dell’Ade. Non solo per i numerosi naufragi e per il suo colore vinaccio al tramontare del sole, come lo definisce Omero, colore scuro che partoriva sensazioni di paura per la difficoltà di attraversarlo con lo sguardo, ma anche perché il sole tramonta ad Occidente, zone della terra dove il sole muore, dove i morti continuano la loro vita ultraterrena. Probabilmente, questo vago senso magico religioso continuò a circondare siffatte contrade dell’estremo Occidente nella mente degli antichi naviganti. Difatti, quasi contemporaneamente al loro primo contatto con il mare greco, i Greci sentirono quell'intima fusione con la terraferma e con il fiume Okeanos eppure, in questo mare sorgevano all'improvviso violente tempeste, ma la curiosità dell’uomo greco era forte e lo portava a scoprire che dietro alle isole che sembravano celarsi sul mare, si stendeva una nuova superficie di acqua. Pertanto fu inevitabile la ricerca di un'ultima isola, una terra più lontana di tutte; e come ogni isola invitava a raggiungere un'altra isola più lontana, così per i Greci anche quell'estrema terra era un'isola: la terra, Aia/ Aiaia, che giaceva nell'estrema lontananza.
Ed è proprio da questa coraggiosa curiosità che furono caratterizzati quei popoli antichi che approdarono in Puglia. Erodoto racconta che i Cretesi, giunti in Sicilia, guidati dal re Minosse, per assediare la mitica città di Camico, decisero di desistere e di tornare in patria, ma una tempesta li avrebbe gettati sulla terraferma che gli antichi chiamavano Iapigia. Allora essendovi ormai distrutte le navi e non avendo alcun mezzo per tornare a Creta, decisero di rimanere lì e di fondare la città di Yria. Altre fonti , invece, raccontano che gli Iapigi, genti indigene nella terra pugliese, fossero costituiti dai cretesi, partiti da Cnosso con Teseo, mitico fondatore di Brindisi. Una seconda tradizione, invece, attribuisce agli Iapigi un’origine illirica e Varrone, storico romano, postulava una triplice origine: cretese, illirica e locale.
Il l Museo archeologico provinciale "Francesco Ribezzo" di Brindisi, in piazza Duomo, racconta bene nel suo itinerario la storia di Brindisi e delle località vicine dalla preistoria alla conquista romana.
Inoltre è collocato vicino alla Locanda del porto, un ristorante che si affaccia sul mare, dove è possibile assaggiare piatti gustosissimi, dopo una visita al museo. La sua posizione permette di godersi la vista di un blu intenso, che spicca alla fine della via.
Il museo prende il nome dall'omonimo archeologo e glottologo illustre (1875-1952). Dispone di numerosi e ampi locali nei quali conserva vasi attici di notevole interesse e i famosi Bronzi di Punta del Serrone, ritrovati attraverso l’archeologia subacquea. Il cosiddetto portico dei cavalieri Templari funge da ingresso al Museo, catturando immediatamente l’occhio del visitatore. Sotto il portico trovano posto una serie di ceppi d'ancora in bronzo, sculture, stele onorarie municipali, sarcofagi ed elementi architettonici dei quali è nota la provenienza, ma non il contesto. Al di là del portico si apre un cortiletto, nel quale sono esposte are marmoree, iscrizioni funerarie ed elementi architettonici di straordinaria bellezza, che sembrano riportare il visitatore in un tempo ormai lontano.
Al pianterreno si apre un'ampia sala dedicata alle collezioni storiche della Sezione antiquaria. Nelle vetrine il materiale archeologico, in gran parte di provenienza brindisina, è esposto per classi di materiali: ceramica, bronzetti, terrecotte votive, antefisse, lucerne, vetri, monete. Qui è possibile distinguere alcune fasi storiche che portarono intorno al VII secolo a.C. la civiltà Iapigia ad articolarsi al suo interno, assumendo la forma di tre culture affini ma distinte:
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- Daunia (si estendeva dal Gargano al Vulture e dal Subappennino al golfo di Manfredonia, abbracciando quindi l'intero Tavoliere delle Puglie)
- Peuceta ( corrispondente a grandi linee all’odierna città metropolitana di Bari sino alla valle del Bradano)
- Messapica (si estendeva lungo tutta la penisola salentina fino a Leuca, acerrima nemica della dorica Taranto, colonia spartana del 706 a.C.)
Ponendo l’attenzione sul Brindisino e quindi sull’antica regione della Messapia, la cosiddetta Sala Marzano, mostra notevoli vasi a trozzella (chiamati così per le trozze, ruote poste sulla cima delle anse), tipicamente messapici e alcuni vasi attici, vasi italioti, fino a raggiungere vasi dello stile di Gnathia, ceramica apula di Egnazia di III a.C. che presenta decorazioni sovra dipinte, oltre a crateri apuli a figure rosse del IV secolo a.C. con scene dionisiache.
Il primo piano è dedicato alla sezione Preistorica e raccoglie materiale archeologico che illustra i risultati di varie campagne di scavo effettuate a Brindisi e nel territorio della provincia. Da Brindisi provengono, tra l'altro belli esemplari di vasi a figure rosse: un bel cratere a colonnette attico del Pittore di Efesto (V secolo a.C.) con Corteo dionisiaco presso un'ara e, nel rovescio, personaggi ammantati; un altro cratere attico con Trittolemo sul carro alato tra Demetra e Kore del Pittore di Polignoto (V secolo a.C. ) che attestano i rapporti commerciali antichissimi di questo porto con scali orientali. Brindisi, infatti, è famosa soprattutto per il suo porto a forma di testa di cervo. Si ritiene infatti che il nome della città derivi dal latino Brundisium, a sua volta derivato, tramite il greco antico Brentesion, dal messapico Brention, traducibile in "testa di cervo".
Il secondo piano invece racconta la storia della Brindisi romana. Prima dell’arrivo di Roma, Brindisi è considerata capitale e sede regali degli Iapigi: Alessandro il Molosso, chiamato in aiuto dai Tarantini, avrebbe mostrato rispetto per la storia antica della città, stipulando accordi di pace e amicizia con i Messapi nel 333 a.C., infatti in questo periodo il mondo messapico mostra interazione politica pacifica con Taranto, tanto che affiancherà il principe macedone Pirro, giunto in soccorso di Taranto contro i Romani, e questo permetterà ai Messapi di ottenere per Brindisi un ruolo sempre più rilevante nelle rotte verso l’Oriente. Tuttavia sarà nel 266 che, sconfitto Pirro e di conseguenza Taranto, Brindisi sarà conquistata dai Romani. Contiene una piccola raccolta di monete greche e romane, divinità femminili di età romana, un simulacro di Ecate trimorfa e un bassorilievo con scena di sacrificio. Inoltre bellissima la statua acefala di Clodia Anthianilla, letterata brindisina (II secolo), già nel foro di Brindisi e relativa base iscritta con lungo elogio funebre della stessa.
Il museo termina il suo itinerario con una sezione dedicata all'archeologia subacquea del territorio, si trovano esposte anche numerose anfore recuperate in tempi diversi lungo il litorale brindisino, ceppi di ancore in pietra e metallo. La scoperta dei Bronzi di Punta del Serrone si deve ad una occasionale immersione il 19 luglio del 1992, quando nello specchio d'acqua antistante Punta del Serrone, due miglia a nord dell'imboccatura del porto di Brindisi, fu rinvenuto un piede bronzeo a circa 400 metri dalla riva e a 16 metri di profondità. Già nel 1972 un altro magnifico piede di bronzo appartenente a statua di età imperiale o bizantina di dimensioni ragguardevoli era stato recuperato in quello stesso tratto di mare e consegnato al Museo.
Brindisi resta una città magica, piena di luoghi da scoprire e di storie avvincenti. La sua grandezza si deve a quella curiosità e a quel coraggio che connota l'essere umano, la città è simbolo di un'umanità che ha dovuto lottare contro le tempeste, contro Gorgoni e Lestrigoni, vivere intensamente per raggiungere la sua grandezza. In antichità fu una città portuale piena di cultura: nel I secolo a.C. fu casa del mecenate Lenio Flacco che aveva trasformato la sua villa, posta sulle colline settentrionali del porto, in un cenacolo di cultura, ospitando poeti, tra cui Orazio e soprattutto l'amico fraterno Cicerone, durante l’esilio del 58 a.C. Inoltre vi soggiornò Virgilio durante la stesura dell'Eneide e vi trovò la morte nel 19 a.C. Oggi conserva ancora quella magnificenza storica nella sua architettura e il suo porto resta ancore un luogo di limine, porto sicuro che accompagna i suoi viaggiatori al raggiungimento di nuove vite, colmo di turisti pieni di sogni, passanti che si abbracciano e si augurano buon viaggio alla stessa maniera di Orazio, che si assicurava con alcuni versi la partenza del suo amico Virgilio.
Ti guidi la dea signora di Cipro
i fratelli di Elena, astri lucenti
il padre dei venti e li chiuda
tutti eccetto lo Iapige, nave
che ci devi rispondere di Virgilio,
affidato a te, sbarcalo incolume
ti prego, sulla terra dell’Attica,
conservami la metà della mia anima.
Aveva nel petto la quercia
e tre strati di bronzo colui che per primo
affidò al mare feroce una barca
fragile, e non temette l’Africo precipitoso
in lotta con gli Aquiloni e neppure le tristi
Iadi o la rabbia di Noto, di cui non c’è
padrone più forte sull’Adriatico, voglia
scatenare o fermare i marosi.
Quale passo della morte temette
chi vide con occhi secchi i mostri marini,
il mare torbido e i maledetti
scogli Acrocerauni? Invano un dio saggio divise
e rese inconciliabili l’Oceano e le terre,
se lo stesso le navi empie percorrono
le onde proibite. Audacemente
capace di soffrire tutto, il genere umano
precipita nel sacrilegio vietato;
audacemente il figlio di Giapeto
portò con la frode il fuoco agli uomini
e da quando il fuoco fu rubato alla casa
celeste, sulla terra è piombata
la consunzione e una schiera di nuovi mali,
e il destino lento accelerò il passo
della morte, una volta lontana.
Dedalo tentò l’aria vuota con ali
negate all’uomo
la fatica di Ercole
violò l’Acheronte. Per gli uomini
niente è difficile: al cielo stesso
diamo follemente l’assalto, e col nostro
delitto non lasciamo che Giove
deponga i fulmini della sua ira